Il Tar Trieste, accogliendo integralmente le tesi della società ricorrente, difesa dallo Studio, ha ritienuto che l’indicazione “presidio medico-chirurgico” stabilita per i prodotti di cui al lotto 13, costituisca un requisito normativo vincolante, che connota e identifica il prodotto dal punto di vista giuridico, e non invece una mera indicazione descrittiva delle caratteristiche richieste, come sostenuto dalla controinteressata e dall’amministrazione.
Per il materiale sanitario, oggetto della procedura, la normativa richiamata per ciascun lotto identifica gli standard di qualità che i prodotti devono rispettare per essere ritenuti idonei allo specifico utilizzo e commercializzati con una determinata nomenclatura (es. quella di dispositivo di protezione individuale o D.P.I.). L’accertamento di tali caratteristiche è rimesso alle competenti autorità, che rilasciano idoneo provvedimento autorizzativo / certificativo alla produzione e alla messa in commercio. Anche quella di “presidio medico-chirurgico” è una nomenclatura tecnico- normativa che sottende un particolare standard di qualità e può essere adottata da un prodotto solo a seguito dell’intervenuta autorizzazione fornita dal Ministero della Salute, ai sensi del D.P.R. 392 del 1998.
Il Tribunale concorda con l’osservazione del ricorrente, secondo cui la dicitura “presidio medico-chirurgico” corrisponde a quella di “prodotto autorizzato ai sensi del D.P.R. 392 del 1998”, l’una essendo la logica e necessaria implicazione dell’altra (e viceversa): è presidio medico-chirurgico solo il prodotto che abbia ottenuto l’autorizzazione ministeriale prevista dalla menzionata normativa". Al concetto non si associa, in ogni caso, un significato “comune”, che possa renderlo di valenza genericamente descrittiva e rappresentativa di determinate"
Nello specifico, con “presidio medico-chirurgico” si intendono i prodotti di cui all’art. 1, comma 1 del D.P.R. 392 del 1998, tra i quali quelli consistenti in “disinfettanti e sostanze poste in commercio come germicide o battericide”.
Tanto la “produzione” quanto la “messa in commercio” di un P.M.C. deve essere preventivamente autorizzata dal Ministero della Salute, sentito l’Istituto Superiore di Sanità, all’esito di un procedimento disciplinato, oltre che dal citato D.P.R., dal decreto ministeriale 15 febbraio 2006 (per la produzione) e dal provvedimento del 5 febbraio 1999 del dirigente generale del Dipartimento per la valutazione dei medicinali e la farmacovigilanza (per la commercializzazione). 6.4.2. L’autorizzazione presuppone l’esito positivo delle valutazioni tecniche sulle caratteristiche del prodotto (art. 2 del D.P.R.) e sull’idoneità dello stabilimento di produzione (art. 3) ed è soggetta a pubblicità mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (art. 9). Sui P.M.C. il Ministero esercita, inoltre, un permanente potere ispettivo e di vigilanza, che riguarda sia i luoghi produzione (art. 6) che i prodotti commercializzati (art. 7), cui si accompagna il potere di revoca delle autorizzazioni in caso di riscontrate irregolarità (art. 8).
In definitiva, nel caso di specie, il TAR ha ritenuto che "La natura di P.M.C. deve dunque considerarsi, per i beni oggetto del lotto 13, una caratteristica essenziale del prodotto, attributiva di una specifica “identità” normativa e di un corrispondente regime giuridico, che non si riscontra in prodotti privi dell’autorizzazione ministeriale, anche se di identica composizione".
Sono corretti altresì i rilievi della ricorrente circa l’impossibilità di sopperire alla mancata autorizzazione come “P.M.C” del prodotto offerto attraverso una valutazione di conformità operata in autonomia dalla stazione appaltante, posto che la natura di P.M.C. non consegue, infatti, al mero riscontro di caratteristiche oggettive e predeterminate, ma sottende l’esito positivo di procedimenti autorizzatori complessi e pluristrutturati, che condizionano la stessa fabbricabilità e commerciabilità dei beni, oltre a determinare l’applicazione di un particolare regime di vigilanza e controllo. Il relativo potere, attribuito alla competenza centralizzata del Ministero, non può essere ovviamente esercitato, sia pure in via incidentale, dall’Azienda sanitaria. 8. La valutazione di sostanziale conformità operata della stazione appaltante contrasta, infine, con il fondamentale principio di par condicio tra concorrenti.
Sono state accolte altresì le censure relative alla lesione dell apar condicium. ha ritenuto il Collegio, infatti, che "Un prodotto che non sia stato autorizzato ai sensi del D.P.R. 392 del 1998 presenta normalmente, a prescindere dalla sua specifica composizione, costi di produzione più ridotti. Per esso non devono, infatti, essere soddisfatti (e mantenuti nel tempo) gli elevati standard richiesti dal Ministero della Salute per produrre e commercializzare i P.M.C., che attengono altresì alle caratteristiche degli impianti di fabbricazione, all’idoneità tecnica del personale ivi impiegato e financo al regime contrattuale adottato (cfr. art. 5). Gli stessi provvedimenti disciplinati dal D.P.R. 392 del 1998 sono, inoltre, soggetti al pagamento di una tariffa di non trascurabile entità (€ 1.520,40 per l’autorizzazione alla commercializzazione, € 3.683,10 per l’autorizzazione alla produzione)".