Nella materia delle concessioni amministrative di beni pubblici - alla quale va ricondotta la fattispecie in esame - l'art. 133, comma 1, lett. b) del codice del processo amministrativo, nell'attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ogni controversia relativa ai rapporti di concessione di beni e servizi pubblici, fatte salve quelle aventi ad oggetto indennità, canoni o altri corrispettivi, non implica affatto, in queste ultime ipotesi, un regime di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario. Spettano, infatti, in base ai criteri generali del riparto di giurisdizione, alla giurisdizione ordinaria solo quelle controversie sui profili in esame che abbiano contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della pubblica amministrazione a tutela di ipotesi generali, mentre restano nella giurisdizione amministrativa quelle che coinvolgano l'esercizio di poteri discrezionali inerenti alla determinazione del canone, dell'indennità o di altri corrispettivi (in termini, sent. n. 20939/2011; più di recente, cfr. ord. n. 16459/2020).
Del resto, proprio nella specifica materia degli usi civici, queste Sezioni Unite hanno reiteratamente, ancorché incidentalmente, affermato che la determinazione della misura del canone, al pari di quella delle altre condizioni richieste per l'approvazione della concessione di legittimazione, e la conseguente trasformazione in allodio del bene gravato dall'uso civico, rientra nella valutazione autonoma dell'autorità pubblica, sindacabile, se affetta da vizi, dal giudice amministrativo.
Anche a prescindere dai precedenti richiamati nel paragrafo che precede, peraltro, nel presente giudizio risulta assorbente la considerazione che il motivo per cui il ricorrente ha impugnato la delibera n. 116 del 2015, e i provvedimenti alla stessa presupposti e conseguenti, consiste nella dedotta illegittimità dell'esercizio del potere di autotutela decisoria in forza del quale il Comune ha modificato l'originaria determinazione del capitale di affrancazione. Risulta pertanto evidentemente applicabile alla fattispecie il principio - di portata generale, ancorché enunciato con specifico riferimento alla materia dell'accesso a finanziamenti o sovvenzioni pubbliche - alla cui stregua la cognizione di una controversia avente ad oggetto la contestazione mossa dal privato in ordine alla sussistenza dei presupposti dell'esercizio del potere di autotutela decisoria da parte della pubblica amministrazione compete al giudice amministrativo, giacché in relazione all'esercizio di tale potere il soggetto inciso non vanta una situazione di diritto soggettivo, bensì di interesse legittimo (così, tra le tante, SSUU n. 18241/2018; in applicazione di tale principio si è deciso che, allorché la mancata erogazione del finanziamento, pur oggetto di specifico provvedimento di attribuzione, sia dipesa dall'esercizio di poteri di autotutela dell'amministrazione, la quale abbia inteso annullare il provvedimento stesso per vizi di legittimità, la controversia riguarda una posizione di interesse legittimo, con conseguente devoluzione al giudice amministrativo; vedi SSUU n. 3166/2019, SSUU n. 16457/2020).
In sostanza, riprendendo l'icastica formula che si legge nella stessa sentenza qui impugnata, nella presente controversia la contrapposizione tra le parti va ricondotta al binomio potere-interesse e non, come ritenuto dal Consiglio di Stato, al binomio obbligo-pretesa.
La presente causa va quindi attribuita al giudice amministrativo perché la domanda concretamente presentata al TAR tende all'accertamento dell'illegittimità dell'esercizio del potere di autotutela speso dall'Amministrazione municipale con l'adozione della delibera n. 116 del 2015 e degli altri provvedimenti amministrativi impugnati.