IL DECALOGO PER I MAGISTRATI AMMINISTRATIVI SUL CORRETTO USO DEI SOCIAL
Con l’avvento delle nuove tecnologie, che negli ultimi vent’anni hanno rivoluzionato la comunicazione e tutti gli ambiti del vivere sociale, una questione di indubbia rilevanza è quella legata all’uso adeguato dei social media da parte dei magistrati e, in generale, da parte dei professionisti del settore giustizia.
Le reti sociali sono strumenti ormai imprescindibili della quotidianità ma che, come ammoniva già qualche anno fa il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella “se non amministrati con prudenza e discrezione, possono vulnerare il riserbo che deve contraddistinguere l’azione dei magistrati e potrebbero offuscare la credibilità e il prestigio della funzione giudiziaria”.
L’esigenza di contemperare il diritto dei magistrati al libero utilizzo dei social network con i doveri di imparzialità e connessi al proprio status, ha indotto il Consiglio di Presidenza ad adottare una “Delibera sull’uso dei mezzi di comunicazione elettronica e dei social media da parte dei magistrati amministrativi”.
In realtà, nel contesto sovranazionale simili interventi non rappresentano una novità assoluta: già nel 2019 le Nazioni Unite avevano adottato un documento analogo, il “Non-Binding Guidelines on the Use of Social Media by Judges”, contenente una serie di indicazioni rivolte ai magistrati su un utilizzo sobrio e consapevole delle reti sociali; mentre la stessa CEDU ha avuto modo di affermare che il dovere di discrezione impone ai giudici di evitare comportamenti che potrebbero esporre l’organo giudiziario a critiche immotivate e, naturalmente, di astenersi dal divulgare informazioni chepotrebbero nuocere al buon funzionamento interno dell’organo giudiziario di appartenenza. In quest’ottica, il decalogo adottato della Presidenza è dunque finalizzato a fornire delle più specifiche linee di comportamento condivise, un richiamo al corretto bilanciamento tra il diritto di manifestazione del pensiero del magistrato amministrativo e l’opportunità che, dall’esercizio di tale diritto, non siano intaccate “la dignità, l’integrità, l’imparzialità e l’indipendenza del singolo magistrato, della magistratura amministrativa e delle istituzioni che la rappresentano”.
Il problema assume una dimensione ancor più rilevante soprattutto se si considera che larga parte dei magistrati e degli avvocati non sono nativi digitali e dunque non hanno piena padronanza e consapevolezza delle potenzialità, anche negative, connesse ad un uso non prudente dei propri profili. Non si sta certo sostenendo che un uso – per così dire- troppo disinvolto delle tecnologie riguardi solo i professionisti più anziani, anzi.
Certamente costituisce un invito rivolto anche ai più giovani, spesso abituati a condividere importanti momenti della propria vita professionale con i propri “amici virtuali”.
Appare però indubbio che chi ha avuto sin da giovanissimo la possibilità di intuire la vastità di informazioni carpibili attraverso le piattaforme è indotto ad assumere una maggiore cautela nella condivisione delle notizie e nello strategico posizionamento dei “likes”.
A prescindere dalla vera rilevanza pratica del decalogo (che tutto sommato codifica delle norme di comportamento già appartenenti al comune sentire), esso ha l’indubbio pregio di fotografare un momento decisivo di passaggio nella storia della magistratura e della giustizia italiana, gettando luce su aspetti della vita sociale neanche immaginabili sino ad una decina di anni fa: è stata avvertita l’esigenza di chiarire, ad esempio, che le amicizie sui profili social non sono equiparabili a quelli della vita reale e che “non costituiscono un elemento di per sé rilevante a manifestare la reale consuetudine di rapporto personale richiesta ai fini delle incompatibilità, la cui disciplina, di carattere tassativo, è prevista unicamente nell’art. 51 c.p.c.” ma che, tuttavia, “quando concernono persone coinvolte nell’attività professionale del magistrato devono essere contenute ovvero evitate, allorché essi possano incidere sulla sua immagine di imparzialità”.
Tra gli spunti interessanti che le linee guida offrono, c’è senza dubbio quella del riconoscimento del “diritto ed dovere di ricevere una formazione specifica relativa ai vantaggi e ai rischi derivanti dall'utilizzo dei social media”.
E’ lecito aspettarsi, a questo punto, che tutti gli Ordini Professionali accolgano il velato invito ad avviare iniziative di aggiornamento e formazione in materia», in modo da integrare ed adeguare i principi deontologici alla nuova dimensione sociale della professione.
Roberta Valla